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mercoledì, Marzo 19, 2025

Addio Lucio Villari

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Quando giusto si allontana da esatto

La Giustizia è giusto riformarla? E se sì, da quale impianto concettuale si deve partire affinché ci sia un’amministrazione statale in grado di essere rispondente? Sono quesiti saltati a pie’ pari nelle varie impostazioni degli ultimi trenta anni, ogni qual volta si è tematizzato il problema.

Il fatto che, come al solito si parte da quel che c’è per modificarlo. E modificare, chiaramente le storture. Si procede quindi con la divisione delle carriere. Da una parte i giudici propriamente detti e dall’altra i pubblici ministeri. Ma qui subito un problema perché questi ultimi non ci stanno ad essere considerati non-giudici-propriamente-detti. E questo perché essere pubblico accusatore non esime dall’alto ufficio del giudizio e dall’essere agenti del sistema di formulazione della pena o in genere del correttivo nel comportamento disfunzionale per la società. Quindi si discute sulle ragioni per cui è posta questa stessa discussione.

Prima che questo gioco non diventi un’esercitazione del grottesco per il teatro dedicato ai lettori di queste trame, abbiamo processi pluridecennali. La riapertura dei vari casi giudiziari sui quali sulla base di ipotesi indiziarie si può dire assai poco di nuovo. Resta quindi il crisma del giudizio che però, oramai, avrebbe solo un valore di tipo storicistico.

Ma non è questo il modo di far funzionare uno Stato che per sua elementare definizione deve tendere alla difesa dei suoi confini, alla difesa dei propri cittadini e all’affermazione della giustizia nei rapporti tra loro. Tutto il resto è costruzione aggiunta nei decenni di questi due secoli mezzo.

Non può sorprendere quindi che tra il presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia si evidenzino discrepanze. Si annuncia allora un disegno di legge per aprile sulle carriere separate. La riforma era nel programma del governo ma difficile recuperare cosa avevano siglato i loro redattori. Perché se tutto fosse chiaro non dovrebbero esserci problemi nella realizzazione. Cosa che invece appare in tutta evidenza dopo un anno e mezzo di esistenza di questo governo.

Quindi si promette un disegno di legge sulle carriere separate per aprile. In altri termini significa però il declassamento del ministro Nordio come semplice araldo della Meloni. E questo non sta bene.

D’altra parte da un governo di centrodestra, propiziato dalla tentata riforma-Cartabia, ci si aspettava qualcosa di più in termini di lavoro visibile sulla riforma della giustizia. Semmai col trittico di decreti – “Rave”, “Cutro” e “Caivano” – restringenti le libertà si è andato in converso all’ispirazione culturale di un ministro come Nordio. Ma probabilmente questa è una tendenza che piace a Giorgia. Vallo a capire!

In sostanza la giustizia cambia solo in termini di aumenti di pena, nuovi reati fattispecie di reato. Dal fronte del lavoro di Nordio ancora deve essere apprezzato il risultato raggiunto sulla abolizione dell’abuso d’ufficio, sul traffico di inflluenze e una diminuzione delle misure cautelari, ma anche l’impossibilità da parte del P.M. di appellarsi alla sentenza emessa in assoluzione. Tutto uscirà dalle congetture per entrare nel visibile dalla Camera, essendo già stato approvato in Senato. Quindi i tempi non dovrebbero essere remoti. Ma lo saranno perché per fare tutte queste cose sarà necessario implementare l’organico di magistrati, per cui ci vorranno, ad andar bene, altri cinque anni.

Ma non ci sono condizioni che facilitano il lavoro di Nordio. Giorgia è ben lontana da essere una Lady Mc Beth che lo spinge: “Se tutto fosse finito una volta fatto sarebbe bene che fosse fatto in fretta”. C’è tutto un mondo che resiste, che fa inerzia, che grava. E probabilmente anche a Palazzo Chigi non si è insensibili a quel mondo.

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