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domenica, Marzo 23, 2025

“Volenterosi” dalla Cina … (forse)

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Un protagonista, e deuteragonista del grande rivale col quale ha tenuto in tensione il mondo

Kiev è sola

Sembra un controsenso dalle cronache ma la condizione fattuale riporta al dato essenziale

Assange ancora “tra color che son sospesi”

Non è estradato negli Stati Uniti. Almeno fino al 20 maggio. In America lo aspetta un processo per spionaggio. Però la richiesta degli States appare come accolta. D’altro canto il tribunale inglese chiederà garanzie sul perseguimento del Primo Emendamento per cui non si possono inquisire persone semplicemente per le cose che dicono.

Un balletto, questo, che dura dal 2010 con trasferimento di Assange nelle prigioni inglesi con tutt’altra accusa. Poi la fuga nell’ambasciata dell’Ecuador e dopo ancore il ritorno nelle carceri anglosassoni con la richiesta degli Stati Uniti di estradizione perché accusato di reati pari centosettanta anni di reclusione (da spionaggio e rilevazione di segreti militari).

IL fondatore di Wikileaks deve vedersela col mondo che lo considera un inutile ingombro con le potenzialità di dire cose ancora non pubblicate. D’altra parte un movimento di opinioni e idee molto blande, incapaci di rappresentare una vera massa critica perché le cose vadano in direzione e verso di come si vuole che vadano. Ma più precisamente l’avvocato di Julian Assange è la coscienza infelice dell’Occidente che si guarda e si scopre repressiva, liberticida, ossificata nella sua ideologia militare – svelatasi come l’unica verità del mondo propugnatore invece delle libertà.

Alla Alta Corte britannica appare risibile la difesa di Assange per cui si portano a processo le sue idee politiche. Ed è in effetti una posizione debolissima e facilmente confutabile. L’avvocato, in questi casi, dovrebbe essere piuttosto un logicista con la capacità di affrontare e sciogliere il vero argomento avverso. Non ripetere la solita manfrina di inventare un’accusa che non c’è per confutarla.

I nervi scoperti toccati dalla vicenda di Assange vedono nella leggibilità di dati segreti il grande attacco a un sistema. Nell’impossibilità di mettersi sotto esame fino in fondo per questa imperdonabile falla nel sistema di protezione dei dati, accusano chi li ha divulgati. Mentre ci sono alcuni passaggi intermedi da chiarire: chi glieli ha messi a disposizione.

Quattordici anni fa Assange pubblicò su WikyLeaks atti che evidenziavano i crimini perpetrati dall’esercito americano in Iraq e Afghanistan. Il problema è tutto lì. Glieli rivelò Chelsea Manning, analista dell’intelligence poi condannata a trentacinque anni ma poi condonati da Barack Obama. Subito quei documenti furono pubblicati dai giornali americani e fecero immediatamente il giro del mondo. Si scopriva nuovamente l’anima poco candida degli Stati Uniti. “E sai la scoperta!” Si dirà. Solo però che stavolta non si trattava della solita propaganda nemica bensì di dati inconfutabili, di documenti attestanti responsabilità pesanti. Secondo l’accusa però Assange pubblicando senza remore avrebbe messo in pericolo gli informatori. Paradossalmente l’estradizione violerebbe il suo diritto a un giusto processo e alla libertà di espressione perché in quanto cittadino australiano avrebbe meno diritti di uno statunitense.

L’altro paradosso di Assange è che sta in galera in Inghilterra da dieci anni senza essergli imputato alcun reato in quel paese. Ma tutto deve fargli trovare quella locazione migliore di qualsiasi altro posto al mondo.

La sua storia giudiziaria iniziò con l’arresto su richiesta della Svezia. L’accusa però non ha niente a che fare con lo spionaggio. Viene denunciato per stupro da due donne svedesi. È il 2012. Lui dice che le donne erano invece consenzienti. Si sottrae alla prigionia svedese preferendo quella inglese perché in questa ultima trova più difficile la richiesta di estradizione americana. In Inghilterra ripara in ambasciata dell’Equador. Trova custodia come rifugiato politico. Ma la condizione gli dura fino al 2019. Su richiesta degli Stati Uniti viene nuovamente arrestato e trasferito a Belmarsh.

La sua storia giornalistica inizia nel 2007 quando fonda il sito che pubblica documenti riservati degli stati di tutto il mondo. Si ricorda il manuale per le guardie carcerarie di Guantanamo e poi il caso dei ‘Panama Papers’, le carte riservate sull’invasione dell’Iraq, ma anche indiscrezioni: i diplomatici Usa che mandano giudizi sprezzanti sui colleghi di Washington. Sono poi pubblicati documenti su la repressione cinese della rivolta tibetana, le purghe contro l’opposizione in Turchia, la corruzione nei Paesi arabi, le esecuzioni sommarie compiute dalla polizia keniota.

Ma la domanda resta: chi è che riesce a fornire tanto di documenti riservatissimi? C’è il sospetto che sia la Russia. Ed è anche questa la verifica che dagli States vogliono fare molto direttamente. Ad aggravare il sospetto di esser stato strumento funzionale ad autentico spionaggio è anche il consiglio dato di riparare in Russia a una persona perseguitata dalle autorità in Svezia (Edward Snowden, talpa del National Security Agency).

Nonostante la sua posizione debolissima può il solo stato dell’Ecuador garantire per la sua inviolabilità di persona? Negli anni della detenzione dorata dell’ambasciata ecuadoregna continua l’attività di WikiLeaks. Rivela, sempre negli States, della trama di esponenti del Partito Democratico alle primarie contro Bernie Sanders per far vincere la nomination a Hillary Clinton.

Ma nell’aprile del 2019 si rovescia la magica protezione di Assange. Perde la protezione del presidente dell’Ecuador secondo cui ha violato la condizione di asilo politico. Lo arresta la polizia inglese, salta fuori il processo per violenza carnale nei confronti delle due donne, ma viene archiviata. Nelle mani britanniche parte immediatamente la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti.

Ma i segreti di Assange non sono poi tanto nelle rilevazioni fatte o nei responsabili di avergliele fornite. Bensì sulla rete di implicazioni che la sua figura ha avuto e potrebbe ancora avere. Sembra un romanzo di spionaggio, bensì è una storia vera. E riguarda ben oltre le cattiverie dei governi presunti democratici. Ma la fitta rete di spionaggio e connivenze. Oppure la violabilità di queste grandi muraglie informatiche.

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