Al quarantesimo anniversario della morte la segretaria del PD ha deciso di stampare le nuove tessere del partito con gli occhi sorridenti di Enrico Berlinguer. E non si capisce se la scelta sia per dire: “guardate il mondo come lo guardava Berlinguer”. Oppure se si intenda: “sentitevi sempre osservati e guidati dal suo sguardo”.
La scelta deve far discutere perché in un oggetto il cui spazio è limitato si procede solitamente con la proposta di immagine simbolica, rispondente a un valore pilastro per l’associazione a cui ci si tessera. Ma in età di fine delle ideologie, in mancanza di riferimenti guida nei luoghi tipici della vita sociale, quale configurazione simbolica si può proporre? Un computer, uno schermo, cosa altro può simbolizzare il lavoro? Quale raffigurazione utile per dare risalto al valore della democrazia? Impossibile trovarne uno.
E allora si procede presso i numi ispiratori. Quest’anno è anche l’anniversario dell’omicidio di Matteotti. Quale migliore configurazione simbolica? Ma è troppo lontano dai giovani e troppo poco condiviso nell’immaginario generale. Si pone però un problema dell’alternanza, ammesso che si vogliano consacrare i volti classici del pantheon democratico. Deve essere rappresentato anche un volto del Partito Popolare o della Democrazia Cristiana. Non Andreotti, nemmeno Forlani, tantomeno Fanfani. Potrebbe essere immortalato Alcide De Gasperi. Anche qui, però rischia di scontare la lontananza dall’immaginario diffuso.
E invece di Berlinguer si è celebrata la storicità attraverso una mostra al vecchio Mattatoio a Roma ed itinerante nel paese. E poi viene costantemente sospinto nelle memorie sulla questione morale.
In tal senso allora si è fatto tutto in tempi solleciti, prima che i Cinque Stelle si prendessero il copright della questione morale con qualche diritto di vantare la derivazione dall’intuizione berlingueriana.
Ne esce un panorama dell’immaginario alquanto povero. Non ci sono volti, nomi, parole-guida, sulle quali spendersi con tensione universale – almeno relativamente al proprio solco storico e tematico. Ci si lega, quindi, a nomi e persone la cui memoria condivisa possa consistere in un ancora di tenuta tra quel mondo e il nostro.
Solo che più li si guarda più si percepisce quanto quel mondo era lontano, quanto improponibile è oggi e quanto in fondo, in fondo, le cosiddette grandi personalità non erano del tutto indiscutibili. La Storia fa questo strano gioco. Da una parte consacra, dall’altro riporta al condensato di contraddizioni in cui non c’è nessuno che si salva.
Meglio allora inserire il volto di un giovane o una giovane che guarda al nostro futuro con la voglia di modificarlo. E quasi non importa più come. Peggio di così non potrebbe andare.