Cosa possono avere in comune un antiquario e una scrittrice clandestina di tesi è difficile dirlo. E infatti non si dice. La narrazione scorre sui tratti esclusivamente descrittivi di oggettive condizioni e scene dove il lettore si colloca come telecamera.
La letteratura ha occupato uno spazio un tempo occupato esclusivamente alle immagini occupandosi di dare evidenza ai sentimenti con raffigurazioni possibili ed evitando accuratamente di spiegarli. Del resto cosa c’è da spiegare in una relazione tra un uomo e una donna? C’è qualcosa che riesce ad uscire dalla banalità ossessiva delle due esistenze propense occasionalmente ad incrociarsi?
Ed in effetti anche la relazionalità guarda a una dimensione poco attinente alle ragioni degli impulsi e dei corpi. La scelta autoriale taglia sulla esplicazione della tensione dinamica dell’io. La relazione tra due persone è innanzitutto un fatto oggettivo. Perché ogni qualvolta un soggetto si interfacci con un altro avviene uno scambio la cui piena evidenza deve dare corpo al suo esser cosa.
Ogni altra implicazione è esclusa. Non solo quella delle cupiditas e delle in-tensioni, anche del dare una forma al sistema di relazione intessute dai due. Ogni normazione alla decisione di incontrarsi deve essere relegata all’infantile bisogno di trovare una norma superiore nella quale inquadrare qualsiasi comportamento.
Ma i due si incontrano perché vogliono incontrarsi. Altra ragione non sussiste. E se ci fosse aggiungerebbe tronfia la messa a sistema di un contatto indifferente a qualsiasi definizione.
Dirlo e pontificare su nuove dimensioni di coesistenza aggiunge altra pesantezza a qualcosa nato come leggero e come tale da conservare.
E anche la descrizione degli stati interni resta solo la narrazione di comportamenti. Anche quando debbono dare intensità a gesti e movimenti del quotidiano. Perché in definitiva niente effettivamente deroga dall’essere comportamenti dei comportamenti. Ma anche dalla loro versione attraversata da volizioni dell’emozionalità.
Nulla resta e tutto resta nella mente degli amanti protagonisti di una storia tutta privata. E questo nulla delle intenzioni e dell’altro niente degli atti oramai compiuti sovrappongono la moltitudine di inutilità alle quali è sottoposta l’ossessiva propensione a legiferare in quel che si fa.
L’idea di questo niente – perché superato da altri accadimenti – non impedisce però di costruire questo grande senso del nulla da cui si era partiti. E allora il rifiuto di darsi regole perché non possono sussistere allora è solo una scena degli indefiniti sensi del nulla di cui quotidianamente dobbiamo farci portatori.
La relazione occasionale tra la scrittrice clandestina e l’antiquario, nel momento effettivo in cui si compie, è la sola che riesce a debellare questo nulla. Poi, niente altro ancora.
Diego De Silva, La donna di scorta, ed. Einaudi 2001 Torino pagg.144