Che noia le polemiche a cui i notiziari debbono far seguito per inseguire stancamente la tematica corrente. Come il surfista si buttano sull’onda che arrivano ma con poca esperienza perché non sanno valutare se l’onda tiene, si allunga, o se rompe appena innalzata lasciando un vuoto ed una inutile esposizione del notiziario su una questione che di per sé non interessa, non illumina, non accende e approfondisce le questioni per cui è sorta.
Stiamo parlando delle contestazioni alla ministra che avrebbe dovuto parlare alla manifestazione sulla vita ma gli è stato impedito di fatto dai contestatori oppure lei ha furbescamente ripiegato passando da vittima, cambiando il paradigma iniziale.
Le questioni sono chiare a tutti. C’è in corso la volontà di implementare la legge 194, quella sull’interruzione volontaria della gravidanza, approfondendo delle procedure sulle quali nella prassi spesso si è ovviato. E cioè la conversazione con assistenti sociali che debbono saggiare sul reale convincimento della donna in procinto di rinunciare alla gravidanza.
Procedura che secondo le contestazioni antepone dei paletti alla normale procedure dell’interruzione di gravidanza fino a renderla assai più traumatica di quello che già è come decisione e come intervento sul proprio corpo.
Questioni non leggere. Problemi sui quali è chiaro ci sia un’accensione di interessi da parte di tutti, perché il problema delle nascite riguarda un’intera società oltre che direttamente le persone specificamente coinvolte: madre, padri, soggetti attorno.
Chiaro anche che possa suscitare una reazione che va oltre le righe e il conforme, come del resto succede assai spesso nella dialettica dei fatti politici e sociali del nostro paese. Talmente spesso che il grado di importanza sociale di un problema potrebbe essere misurato dalla quantità di decibel impiegata per esprimere avversione o difesa.
Succede così alla vice ministra di preferire una ritirata strategica. Non consente anche alla situazione venutasi a creare una degenerazione che avrebbe fatto scattare il codice penale per molti. Scatta l’indignazione del governo della repubblica sull’indignazione dei manifestanti. Scatta la risposta dei commentatori, tra i quali questo modesto contributo non vuole essere annoverato. Scatta la risposta dei contestatori, anche a distanza, che anche se non c’erano per motivi logistici dicono comunque la loro e confermano la bontà del comportamento da parte dei manifestanti.
Non scatta però una riflessione attenta sui limiti della democrazia e della tolleranza applicata all’esercizio del libero pensiero. Uno degli uomini politici più liberali della nostra storia repubblica, Marco Pannella, praticava l’ostruzionismo parlamentare ingaggiando discorsi lunghissimi al fine di far scadere i termini della discussione parlamentare e far rimandare il provvedimento. Erano gli estremi rimedi per chi era minoranza e comunque voleva sollevare la propria voce. E citando Gandhi ammetteva anche questo atto di estrema lotta democratica come facente parte dell’esercizio del libero pensiero in opposizione ad altro libero pensiero.
Ma due giorni fa in quel teatro non c’era nessuna decisione da prendere. C’era una discussione da tenere e non si è tenuta. E questa è una sconfitta per tutti. Attestato quanto solo si può dire in merito, c’è solo il silenzio.