Ha preso il nome dal proposito spurio di rivendicare i territori irredenti e così modificare la presenza i nel Mar Baltico. La rivendicazione dei confini che fu sia dell’impero zarista che del socialismo reale è diventato carne e genio della guerra in corso. Ad aiutarlo il materiale bellico cinese. Così si ritiene di aver compiuto quel salto qualitativo che da tempo ci si aspettava dall’impero russo. Ma per ottenere tanto deve dimostrare tanto. Almeno ai suoi partner, almeno a chi siede ora al suo tavolo. Chiede il rispetto di un popolo con una tradizione antichissima e con l’abitudine al trionfo finale. Ma sia Iran e Cina non si fanno commuovere poi tanto. Sono i numeri e i fatti gli unici che possono parlare.
Quindi parla di spostamento dei confini marini a discapito della Lituania e della Finlandia. Non ha risolto un teatro di guerra e forse non sa come uscirne e allora se ne inventa un altro. Da vecchia scuola. Ma il mar Baltico è legato allo sfruttamento dei tesori marini liberati dai ghiacciai per il riscaldamento globale.
Del resto, si sa. Sono terre che furono russe e russe debbono tornare. (Sarebbe curioso se lo stesso fosse rivendicato da Roma e dal suo impero. Del resto la latitudine temporale non può essere un ostacolo alla dilatazione dello spettro di interessi e dalla dimostrata capacità nella Storia di esser riusciti a costruire un sistema).
Non serve ricordare che fu il Trattato di Versailles a dare indipendenza a quei popoli. La ragione di fondo appare comica se non fosse stata effettivamente espressa: la storica determinazione su quelle terre costituirebbe un sacro diritto naturale (ma forse così è anche meglio detta di quanto ha proferito Putin).
Ma chiaramente stiamo parlando di un piano diverso da quello del progetto reale che attiene all’esistenza reale e non alla proiezione immaginifica. Chiaro che si voglia sorprendere con effetti straordinari, chiaro che si voglia dare idea di gagliardia, chiaro che si voglia accreditarsi come ancora la potenza in grado di tenere in piedi quel che è ancora in serbo del vecchio bipolarismo militare postguerra mondiale.
La propaganda però fa parte della sostanza perché deve mostrare la capacità di leadership e di condurre un percorso da capofila, anche se i numeri nel proprio schieramento non giustificano più un ruolo come questo. Deve far dimenticare che la guerra in Ucraina non riesce a chiuderla. Deve dimostrare che ha una direzione e un verso nel mondo, che è meglio esservi amico che averlo nemico.
Del resto, in questi contesti le parole guida non sono e non possono essere “volemose bbène”. Ma è anche possibile che un mondo interessato a vendere le proprie merci nel mondo sia fortemente interessato in un mondo sempre in competizione e non in guerra. E così variare il paradigma che ha sempre governato il mondo.