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Razzismo come argomento elettorale

Non sono remoti i tempi in cui si adottavano argomentazioni grossolane per argomentare una distanza originaria basata sulla distinzione per tipologia genetica. Ora è il candidato Donald Trump che nel rincarare la dose contro l’immigrazione la spara grossa.

Evidentemente deve aver valutato si tratti di un argomento molto a cuore degli americani. Già ci era andato giù pesante fino a toccare il comico involontario quando aveva parlato degli immigrati dal Messico dediti ad alimentarsi attraverso cani e gatti che riuscivano catturare. Sulla sortita è nata una canzone ironica molto in voga nei Social.

Ma l’accentuazione dell’argomento non si ferma con l’effetto boomerang costituito dalla burla mediatica costruita specificamente. Ora Trump accusa i migranti di importare in Usa cattivi geni.

Nel corso di un’intervista alla radio l’ex presidente addita a Kamala Harris la responsabilità sul rischio di concedere l’ingresso a migliaia di assassini se la sua candidatura prevalesse.

Sempre Donald Trump dice esplicitamente che i migranti portano “geni cattivi”. E ancora: “molti di loro hanno ucciso più di una persona e oggi vivono pacificamente negli Stati Uniti”. E poi rincara: “Questi omicidi, sai, penso che sia nei loro geni”. Quindi la mazzata finale: “E abbiamo molti geni cattivi nel nostro paese in questo momento”.

L’argomento di per sé risibile denota una disperazione da campagna elettorale e la necessità di recuperare con qualsiasi mezzo e qualsiasi argomento. Non è nuova nella pratica del dibattito pubblico dove succede, in alcuni contesti, che chi riesce meglio a vellicare le paure le tensioni del cittadino medio riesca a trarne vantaggi in termini elettoralistici.

Ma rinverdire l’argomentazione razziale per farne un discrimine di stigmatizzazione per l’altro, alimentando la paura verso l’intruso è uno spettacolo a cui, nelle democrazie del secondo dopoguerra, non avevamo mai assistito.

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