Si prevedono repliche fino a fine novembre ma solo se il pubblico di elettori silenti gradirÃ
Il momento della discussione, prima in governo e poi con le Camere, della manovra finanziaria, consiste in uno dei tropi maggiormente importanti della scena democratica di un paese. Specialmente del nostro dove l’equilibrio tra spese ed entrate è sempre stato assai discutibile e tantopiù discussa la metodologia di ridistribuzione in base alla necessità e ai bisogno.
L’Italia oggi ha problemi grandi in Sanità ridotta allo stremo. Non rinunciando giustamente a un’impostazione universalistica della cura e avendo però accettato la concorrenza sleale dell’impresa privata nei livelli di efficienza nell’erogazione del servizio, tutto è entrato in crisi. Ed è per questo che la prova del mondo professato alla cura per la salute consiste in uno delle cartine al tornasole della vicinanza ai veri problemi sociali. E a questi si risponde con tre miliardi e mezzo per nuove assunzioni resi possibili da una forma di prestito che assicurazioni e banche riconosceranno allo Stato in virtù dei loro profitti molto lauti.
Ed è su questo crinale assai critico che si basa l’attenzione del cittadino verso l’operato del governo e viceversa la dimostrazione del governo di esser vicino ai problemi del cittadino. Ma il clima di fiducia tra singolo e collettività organizzata in forma di ridistribuzione delle ricchezze non ha mai funzionato. Il primo ad avere il coraggio di svellere quel tacito sentimento di ribellione da parte di ciascuno fu Umberto Bossi negli anni Ottanta quando rivendicò il fatto che l’italiano medio, ma soprattutto il cittadino del nord, non aveva secondo quanto dato.
Ed è chiaro che il crinale di certe scelte governative è sempre stato tra lo Stato sociale da riconoscere, il costo dei servizi ordinari e straordinari erogati dallo Stato, e il sistema di divisione delle spese per tenere in piedi tutto questo.
In mezzo ci sono diversi convitati di pietra. E sono la stessa macchina statuale che costa l’inverosimile, i costi dei prestiti contratti col mondo e con gli italiani stessi a cui garantire massima solvibilità almeno per gli interessi da distribuire, la liceità di continuare a sostenere una classe di garantiti e trattare i non garantiti come evasori potenziali.
Dall’inizio della Seconda Repubblica il dibattito messo in scena ha avuto come fulcro questi ambiti offuscati però da mille questioni contingenti e dal saluto vagamente ideologico. Sarebbe il momento invece di spazzare via tutto questo rimbalzare di contumelie per confrontarsi esclusivamente su questi motivi di fondo.