Esiste al mondo un paese dove per invogliare i giovani a procreare vengono facilitati alle nozze. Come se fossero un elemento sostanziale dell’unione tra due giovani. Questo paese è la Cina.
Al momento è solo una proposta di legge. Intende abbassare l’età consentita del matrimonio. Tutto questo evidenzia la distanza siderale tra quel mondo e il nostro. Più giovani possono sposarsi maggiori sono le possibilità di nuove nascite, è l’equazione proposta.
E già il fatto che ci sia un’età autorizzativa o lo Stato che interviene così fortemente su un problema di cui si può avere interessa sociologico ma non capacità di intervento, desta stupore. Ma soprattutto il fatto che un problema di questo tipo sussista in un paese già abbondantemente popolato. Siamo infatti arrivati a un miliardo quattrocentoundici milioni in Cina (dati 2023). Va riportato il dato per cui, sempre in Cina, il tasso di fertilità è uguale a 1,18 nascite per donna mentre in Italia è di 1,14 nascite per donna.
Ma il dibattito cinese riguarda la preoccupazione per cui servono misure più ampie e non solo i diciotto anni ai quali si vorrebbe riportare l’età minima consentita. (Attualmente è di ventidue anni per gli uomini e venti anni per la donna).
Si risponde che anche in Cina l’istruzione di qualità e il suo costo, più la difficoltà del mercato del lavoro, portano a rimandare sulla formazione di una famiglia. E poi i costi. Sulla sanità, sulle tasse scolastiche, sui modelli di vita minimi da salvaguardare … Questa Cina invece pare somigliare più di quanto ci aspettavamo.