È forse la novità più sostanziale di questo Venticinque Aprile. Una ricorrenza sulla conclusione vittoriosa della lotta partigiana senza testimonianze dirette dei protagonisti di quelle tante, ancora poco conosciute, storie personali di scelte radicali in cui si è rischiata la vita per combattere contro l’esercito tedesco e i suoi solidali nelle milizie fasciste o almeno in quel che ne rimaneva.
E la difficoltà nella ricostruzione di una versione edibile alla Storia insegnata nelle scuole consiste nel dare un’idea di insieme della miriade di piccolissime grandi storie in cui tanti e necessariamente oscure persone si prodigavano nel sostegno alle forse partigiane formatesi in rifiuto del richiamo alle armi.
Essendo oramai assai rari i casi di testimonianza diretta, si deve andare a ricollegare tante e tante storie tramandate. E consiste in una scrittura del tutto eccezionale della Storia nella quale invece le res gestae dei grandi protagonisti ha fatto sempre la parte centrale. Forse consiste in una delle prime volte nella narrazione delle vicende che hanno coinvolto gli interessi di tanti e il divenire di quanto è accaduto dopo, sia stato determinato dall’impegno di tanti semi-sconosciuti personaggi dotati di un grande coraggio. Erano donne e uomini che partivano dal popolo e dalle condizioni di vita più diverse.
Ma tutto questo sarebbe ben poca cosa se non si dicesse come costante che l’elemento, questo sì, della grande Storia fu l’arrivo dell’esercito angloamericano in guerra contro l’esercito tedesco in rotta con i soldati italiani totalmente disorientati dopo l’armistizio. Una vicenda imprescindibile che deve sempre essere ricordata come il pilastro di supporto decisivo per comprendere la presa di coscienza di molti nel nostro paese dopo venti anni di dominio fascista.
D’altra parte però ridurre il tutto all’arrivo dell’esercito americano potrebbe avere il significato di ridurre la portata della partecipazione popolare alla necessità di liberarsi dal dominio delle armi imposto dall’esercito tedesco e, cosa ancora più importante, uscire dalla guerra che nessuno voleva nel nostro paese.
Appaiono come sottilmente provocatorie infatti le dichiarazioni di Carlo Calenda che parla della sua celebrazione del Venticinque Aprile coi figli al cimitero militare di Anzio. Come a disconoscere le manifestazioni di Porta San Paolo e la portata della spinta che gli insorti dettero all’esercito tedesco in rotta. Celebrazione, si ripete, giustissima e sacrosanta quella dell’esercito di tanti soldati venuti a morire sul nostro fronte. Ma privilegiare una celebrazione piuttosto dell’altra significa dargli assoluta preminenza. Così come nella tradizione delle precedenti celebrazioni si è rimosso il fondamentale passaggio relativo all’arrivo dell’esercito americano.
Ed è per questo che non si riesce ancora a scrivere una Storia condivisa sull’argomento. Non c’è la versione estensiva e competa dei fatti accaduti. Alcuni vengono omessi ma per volontà, non per mancanza di conoscenza.