Leone. Un nome pesante carico di Storia e di tradizione. Raccogliere l’eredità di questo nome significa esprimere già il suo programma più articolato e specifico di quanto possono fare sermoni come quello in cui si pronuncia oggi alla prima funzione in Vaticano da lui diretta. Sappiamo che il suo predecessore nominale, l’altro Leone, conteggiato come tredicesimo, fu ponte tra due età. Quella dellancien régime e il secolo industriale. Allo stesso modo Leone XIV avendo scelto questo nome si immagina voglia rappresentare questa Chiesa nella transizione. Ora, è tutto da capire e stabilire se il concetto di “transizione” vale per la chiesa che deve adeguarsi ai tempi oppure l’evidente fase epocale della “transizione” deve vedere la Chiesa come sua guida spirituale, come faro.
Quel che avvertiamo è di essere alla vigilia di un tempo che deve affermarsi, ma non sappiamo di cosa si tratti. Alcuni storici hanno parlato di una scena che ricorda l’inizio della prima guerra mondiale solo che questo evento catastrofico è proprio quanto si intende scongiurare e non è possibile farlo con petizioni di principio o con l’esortazione semplice alla pace.
In tal senso il “costruire ponti”. Il primo è tra il nostro che sta decadendo e un altro che inevitabilmente nasce ma non sappiamo che cosa è.
Possiamo ricordare il lavoro di Leone XIII per consentire il passaggio della Chiesa dall’Ottocento reazionario perché basato sui rapporti gerarchici di potere e sullo sfruttamento del lavoro umano al Novecento della seconda industrializzazione e dell’ingresso in tutto e per tutto del lavoratore nella vita civile. Quel Papa fece un grande lavoro di adeguamento rinunciando a stare dalla parte di quelli che erano forti ma che avevano perso l’appuntamento con la Storia e stavano in via di estinzione. Tra le tante encicliche scritte, la Rerum Novarum, in cui affrontava finalmente in posizione di superamento del marxismo il problema della liberazione del lavoro e anche quello della liberazione dal lavoro. Un balzo in avanti che servì a presentare la Chiesa sotto una coltre del tutto nuova.
Come il suo predecessore effettivo, Bergoglio, l’ex cardinale Prevost, conosce l’odore della strada. E anche la puzza. Potrebbe sottoscrivere la famosa asserzione di Henry Miller per cui “ciò che non è in mezzo alla strada è falso, derivato, vale a dire: letteratura”.
Associare il Santo Padre ad Henry Miller e alla strada potrebbe sembrare sacrilego ma risponde alla ferma volontà di riuscire a parlare con le persone tutte, ciascuno, in carne ossa, almeno colo che vivono i contrasti reali della vita. Persone che sono sempre meno nelle funzioni delle chiese la domenica ma che riempiono piazza San Pietro con grande emozione e clamore e si fanno il selfie sullo sfondo della basilica di San Pietro.
Un mondo che bisogna riprendere dando il senso reale della cristianità ma assumendo da loro anche quello che la Chiesa ancora non ha capito del mondo. E cioè, il bisogno del mito e della grande illusione che si fa Storia. “Fare i ponti” significa creare questi contatti con la volontà di un mondo migliore.