Nome e cognome emblema di originalità, autonomia di giudizio, svincolo da ogni pastoia ideologica, in un’età – la sua – composta di favorevoli e contraria e pronta a dividersi con lo spartiacqua dell’ideologia più forte.
Goffredo Fofi era una mente del tutto diversa. Memorabili i suoi testi come critiche cinematografiche in grado di aiutare ad avere altri occhi e diversa apertura visione percettiva al nuovo affiorante di tanto in tanto. Ma anche attento alle imposture e ai facili untori.
In un paese che aveva bisogno di intellettuali fuori dagli schemi Goffredo Fofi ne ha rappresentato un esempio enumerabile sulle dita di una mano. Accanto a lui, nomi del calibro di Pier Paolo Pasolini che lo volle con lui nel capolavoro assoluto Uccellacci Uccellini.
Come critico ha approfondito le due figure di Alberto Sordi e Marlon Brando interpretate giustamente come personalità epocali, al di là della chiara configurazione di attori. Tra i suoi meriti quello di aver compreso la genialità assoluta di una maschera vivente che fu Totò.
Lo ricordiamo nei Quaderni Piacentini con Piergiorgio Bellocchio e poi ancora Ombre Rosse e Lo Straniero e successivamente a Linea d’Ombra. Ha scritto per Avvenire, Il Manifesto, L’Unità e Sole 24 Ore.
Aveva 88 anni. In tempi recenti aveva scritto, continuando a tramandare una pervicace capacità di analisi ancora rara, i saggi Elogio della disobbedienza civile (2015). E poi ancora: Visioni anarchiche della vita e della società (2016), Il secolo dei giovani e il mito di James Dean (2020), Volare alto volare basso (con L. Battaglia, 2021). L’anno successivo Cari agli dèi e Non mangio niente che abbia gli occhi, e Quante storie. Nel 2024, Ritratti e ricordi.
Tra i ricordi che in questi minuti si propongono su Goffredo Fofi costituisce una sostanziale sintesi quello di Marco Bellocchio. “Uno scrittore, un critico geniale esagerato qualche volta nel condannare e nell’esaltare ma anche capace di ricredersi di cambiare idea, altra grande qualità. È morto povero, altra rarità di questi tempi rifiutando la Bacchelli e vivendo fino alla fine del proprio lavoro”.