Nel nostro mondo si muovono forze occulte ma altrettanto perspicue. Non sappiamo come, dove e da chi siano comandate. Ogni tanto, sì, se ne trovano i colpevoli. Sono coloro che adottano il loro potere determinato non più dalle merci e dal potere di scambio, bensì dalla capacità di creare l’illusorio di cui è pervaso il sentire diffuso.
Non ci sono coloro che si salvano da questa dimensione ipnotica del reale. Tranne forse coloro che riescono ad utilizzarla a loro fine ed ovviamente chi ha scritto il breve spunto saggistico.
Il sottotitolo ne evidenzia le modalità genetiche. “Trump, Musk e la nuova architettura della realtà ”. (Si dovrebbe capire allora come l’autore aggiornerà il testo davanti il conflitto aperto tra i due e l’intenzione del secondo di ballare da solo. Sempre ammesso che tutto questo non sia frutto scientemente di un gioco di manipolazione per farci sentire parte e optare per uno o per nessuno ed avere l’illusione di scegliere).
Correi di questo stato di cose anche i giganti della massificazione mediatica di sentimenti, idee, stili di vita, modalità esistenziali. Lì i nomi sono altrettanto facili e non si ripetono per ovvia ripetitività delle polemiche mondane.
Ma la tesi centrale consiste nel fatto che il nostro mondo in effetti non esiste. La struttura dei nostri bisogni è completamente costruita ad arte. E ci sarebbe da immaginare quale sia il ruolo delle pulsioni sessuali: trattasi di dimensioni veicolabili nella concatenazione di raffigurazioni utili allo status quo esistente.
La condizione non è nuova, ma nuove sono le proporzioni. Da un sistema piramidale dove il vertice era dato e diramato nel vivere sociale come nelle gerarchie dei sistemi di vita – in testa a tutti la Chiesa più oscurantista che davanti tanta repressione silente riacquista quasi una sua simpatia originaria.
Bisogna sapere su tutto che “non c’è verità . Non bisogna confidare nel risveglio, ma nella possibilità di rimanere vigili nel cuore della mente” (ivi, pag. 50). Ed è l’unica concessione reale che consente l’autore. Ma se la verità non esiste, non è nemmeno questa su cui si intende tematizzare. E allora salta fuori il vecchio paradosso che fu di George Berkley – “Esse est percipi”- Ma è più comodo citare il grande Totò: “quando a Milano c’è la neve non si vede. E allora che ne sai?” (dal film Peppino, Totò e la Malafemmina).
Volendo invece rispolverare il genio britannico del diciassettesimo secolo la sua nuova impostazione voleva confutare l’esistenza della realtà materiata. Non esisteva secondo il filosofo una verità prodotta dal senso delle cose ma solo una proiezione della mente ideativa. Un po’ lo stesso che fu tematizzato dai Beatles:
“Every thing you are – cause going to – Strawberry Fields – Nothing is real – nothing to get hung about – Strawberry Field forever” (long playing: Seargent Pepper).
Si potrebbe arrivare a Cartesio ma anche a Wittgenstein. Si menziona solo per dire che la tesi non è nuova. Convincente o meno, non si può dire però che sia vera, pena il cadere dell’intero castello descrittivo del mondo.
Ma prima di buttarla in burletta mettendo in ridicolo il lavoro della lettura elegante fornita da Jianwi Xun, si vuole evidenziare che per l’autore la condizione è nuova, epoca e all’apparenza senza uscita.
La novità attuale di questa dimensione dell’illusorietà condivisa riguarda il fatto che “l’aspetto più insidioso dell’Ipnocrazia non è il suo controllo sulla sfera pubblica, ma la sua infiltrazione nel nostro spazio intimo” (ivi, pag. 51).
La tesi consiste nel convincimento per cui “viviamo immersi in una ipnosfera, un ambiente che avvolge ogni percezione, dove tutto si riflette all’infinito in una rete di significati che non possiamo distinguere” (pag. 45). Precedente illustre possiamo trovarlo in un certo linguista ginevrino chiamato Ferdinand de Saussurre che ipostatizzò la cogenza del linguaggio in binomia con la lingua per decifrarne i tratti imperativi dati dalle categorie tramandate ma anche dagli usi e dalla “significazioni”. Grande epigono lo trovò in Roland Barthes nella sua famosa “Lezione” all’ingresso della Sorbona in cui proclamò il linguaggio come una fenomenologia fascista. Spiegò l’accostamento con la definizione di fascismo come quella struttura significazionale, che non si limita a imporre un comportamento ma si preoccupa di imporlo e comandarlo anche inconsapevolmente.
Brevi riferimenti solo per dire che la tematica ha una lunghissima letteratura e altrettanta fortuna negli studia humanitatis.
Non può mancare un riferimento al meno conosciuto Immanuel Kant de La Critica della Ragion Pura quando il genio di Konigsberg si propone di accennare ed iniziare la tematizzazione delle “anticipazioni della percezione”. Una questione che per i tempi andava oltre ogni capacità elaborativa e introspettiva. Kant la riprende sulla seconda introduzione alla Critica del Giudizio ed è presente nella stessa opera. Janwei Xun si orienta invece nella sua economia determinata dalle App (pagg. 63- 65). Ciascuno fa quel che può.
E come nella recensione di un giallo l’autore accorto non deve trapelare chi è l’assassino anche in questo caso adotterà la stessa accortezza. Solo che qui è più facile perché l’assassino non si capisce chi sia. Solo il richiamo ad Hegel (ivi, da pag.115 a pag. 117) per riferirsi di un sistema soggetto ad essere oltre passato da altre condizioni formate dallo stato precedente. Solo che attualmente ancora non è dato e non può dirsi. Possono essere adottate solo forme di atarassia invisibile (l’espressione è del recensore) al fine di coltivare mondi autentici nella sfera del privato. Altro non è dato.
(Jianwei Xun, Ipnocrazia, ed. Tlon, pagg.122, euro 13)