La prova di qualsiasi opera d’arte consiste sempre nella verifica della Storia. Superata la generazione che l’ha elevata ad arte rappresentativa del suo tempo rimane in altri tempi ancora e rimane al di là delle nostalgie di chi ancora c’è, allora può entrare a pieno diritto nel novero delle opere.
Nel caso di un film la valutazione di gradevolezza consiste in una prova ancora più difficile perché sottoposta a diversi criteri. Il primo è l’interesse alla narrazione comunque presente, poi ci sono i tempi di narrazione e dopo ancora gli espedienti espressivi adottati. Lì il raffronto con l’attuale potrebbe essere inclemente. Ne è l’esempio il parere del regista Luca Guadagnino che davanti a un capolavoro della storia del Cinema pare abbia detto che sarebbe dovuto durare di meno,
Al di là del valore di verità e di provocazione dato alle parole da parte del regista di Chiamami col tuo nome, il riferimento irriverente ai tempi di un film rimane una costante. Ma è anche vero che molti film di annata superano questa prova.
Sarà quindi il caso anche di Profondo Rosso a cinquanta anni dall’uscita nelle sale riproposto per il pubblico. Anche solo il titolo sembrò alludere, in quei tempi in cui si attestava una tendenza forte verso sinistra, a un riferimento ideologico del tutto assente nel film.
L’opera è puramente evasiva e vuole l’intrattenimento del pubblico. E forse ci riuscì fin troppo bene tenendo lo spettatore inchiodato alla poltrona incredulo di quanto realismo si rappresentava nella descrizione degli anfratti più inconfessati dell’animo umano.
Ma nella narrazione c’è la musica dei Goblin. IL brano che dà il motivo e il ritmo ai luoghi e alle situazioni nasce con un gioco di basso e un ritmo ritornante, tambureggiante, realizzato però da un sintetizzatore – strumento pure in ascesa in quel periodo.
Stavolta a caratterizzare la vicenda concorre anche il dove. Si tratta del quartiere Coppedè a Roma. Molti romani lo hanno conosciuto con questo film e in effetti si tratta dell’ambientazione giusta per una trama come questa dove il classico personaggio qualsiasi, uno che cerca qualcosa e non sa ancora che cosa, un musicista jazz, si trova suo malgrado ad assistere a un omicidio. Lui per strada il fatto in un interno visibile attraverso una grande finestra.
IL resto è la Storia. A distanza di cinquanta anni non si può ancora raccontare. Ma è tutto da descrivere invece il grado di rappresentabilità dell’orrore quando sono passati cinquanta anni e si vuole superare il sacro rispetto verso la storicità di un’opera.
Dario Argento, Profondo Rosso, 1975 – Teatro Italia, via Bari 18 – Roma – 18 dicembre

