Prende vita la possibilità di un accordo di pace. Non solo tregua, né armistizio o tregua armata bensì pace. Con l’espressione devesi intendere un metodo, una regola, nella quale consentire che i due popoli convivano.
Ed è stata scelta la località balneare egiziana sul Mar Rosso. Ma il nome della località oltre che alle vacanze servirà a ricordare il fatto che Israele e Hamas lì sono tornati a negoziare.
Le divergenze sono tante. Tanta morte e distruzione vicendevolmente provocata non si cancellano ed è difficile la dimensione del riconoscimento dell’altro archiviando l’idea del suo annientamento.
Trump ieri sera assicurato che il suo consiste in “un ottimo accordo” ed è convinto che i negoziati vadano anche bene. Ammette però che potrebbero esserci dei cambiamenti di piano. Questo significa in altri termini che potrebbe essere tutto nuovamente scritto. L’importante si esca con un accordo.
In due giorni il mondo resterà appeso alle conclusioni nella fiducia di un buon senso assurto come momento massimo della mediazione.
Ma a restare la condizione delle condizioni resta la questione degli ostaggi. Hamas deve liberarli per consentire che prendano il loro avvio. Ma d’altra parte Hamas liberandoli annienterebbe così il proprio valore contrattuale per cui sicuramente prenderà tempo. E allora tutto si complica dall’inizio ma non c’è da meravigliarsi.
Hamas infatti chiarisce la dizione di “restituzione immediata degli ostaggi”. Quanto previsto dal piano Trump può e deve riferirsi solo ai deceduti. Ma intanto ci si prepara al meglio. Al-Arabiya riporta: “L’Egitto ha iniziato a allestire il più grande campo per ospitare gli sfollati del nord della Striscia di Gaza”.
E tra congetture e dichiarazioni con attestazioni fattuali si consumano le quarantottore più tese di questa Storia con la convinzione però che assai difficilmente tutta questa storia avrà esito finale proprio con questo accordo.

