Costruire sulle macerie

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Sembrava un’altra sceneggiata del milionario roscio alla guida della Casa Bianca e invece Donald Trump ce l’ha fatta. E un merito gli va riconosciuto è quello della perseveranza. Ci si aspettava invece un rivolgimento delle forze in campo: la vittoria finale dell’esercito israeliano o l’arrivo di una crisi sempre nello stato di Israele in grado di porre fine al massacro.

E invece Trump ce l’ha fatta muovendo le carte degli interessi materiali. Ha recuperato un campo che era rimasto incolto ma con un grande potenziale che è quello islamico. Il loro silenzio in questo stato di cose non poteva durare a lungo. Del resto, si sa, i poveri sono sempre imbarazzanti, non piacciono a nessuno.

Il lavoro di Trump è stato quello di convincerli ed entrare in questa ricostruzione perché in un grande affare si è trasformato quello di Gaza. Grande architetto è Tony Blair che dirigerà i grandi lavori di ricostruzione di un’intera area vasta.

E sempre in termini di ricostruzione si dovrà operare, ora. Vietato infatti parlare di “pace”, e forse anche di “tregua” dato il carattere acerrimo dei contendenti. Semmai si dovrà ribadire il concetto di “ricostruzione”.

L’altro lato del termine dovrà essere dedicato alla nuova delineazione di un sistema di rapporti e di relazioni tra le genti di quelle terre e anche i molti che potranno essere di passaggio. Era impossibile quindi in questo accordo firmato, che deve essere l’avvio di un programma di lavoro, sancire a chiare lettere la nascita di un nuovo Stato, quello di Palestina essendo stata la questione fin troppo divisiva finora.

Davanti a una nuova fattualità che è data dalle cose da fare e da tutto un mondo da realizzare si spera vengano meno le ragioni delle divisioni e altrettanto i rancori che non saranno mai sopiti ma sicuramente resteranno appannaggio di alcuni gruppi relegati però alla deriva.

La novità vera in questo accordo pragmatico è che non c’è nessuno che recede. E questo è anche sancito. Il rifiuto del concetto di un vincitore e di un vinto però contrasta con il concetto del disarmo chiesto o imposto all’esercito di Hamas. Difficilmente i guerriglieri saranno disposti a cedere agli unici argomenti di forza: gli ostaggi e le proprie armi. E allora la soluzione potrà essere la cessione delle armi, ma non tutte. E poi la cessione degli ostaggi ma avendo in cambio i propri prigionieri sui quali si erano perse le speranze.

Superato questo incaglio altri problemi potrebbero arrivare solo da agenti esterni al conflitto superato che soffiano invece sulla ripresa.

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