Si è portato a compimento l’esito della trattativa che ha tenuto il mondo sospeso. Con gli ostaggi rientrati a casa, per il grande clamore di famiglie di appartenenza e del popolo d’Israele, si pongono fine ai termini di un conflitto che sembrava senza fine.
L’altro nodo della richiesta – la consegna delle armi da parte del gruppo terroristico di Hamas – si dubita fortemente possa avere luogo. Al nemico giurato disposto a tutto pur di cancellare Israele non si può chiedere di cancellare sé stesso né tantomeno la sua forza sorretta dalle armi. D’altra parte non si capisce a cosa dovrebbero servire se di qui partirà un processo di ricostruzione dell’intera area teso a dare una trasformazione radicale delle ragioni d’essere di quella zona.
Ma, pur se effettivamente realizzabile, sarà molto difficile far digerire questa richiesta di Israele. Le parole di Netanyahu, se nella prima parte del discorso sono apparse quasi commoventi – ha parlato allo spirito profondo del suo popolo – dall’altra non fanno presagire rose e fiori per il futuro. Ha esplicitamente detto che Israele deve predisporsi a un’altra belligeranza.
Del resto, si dirà, anche in momento di prima distensione, non si può mostrare il ventre molle al nemico prima di essere sicuri di averlo definitivamente regolato. E poi la tenuta al potere di questo presidente si sorregge su un richiamo alle armi, all’estrema emergenza, ad uno stato di allerta. Senza queste condizioni il parlamento di Israele potrebbe ritornare a una condotta democratica, nel senso laburista, o quantomeno non ci sarebbero le ragioni per sostenere un governo di destra. E sarebbe la stessa debacle occorsa a Winston Churchill dopo la fine della guerra mondiale: aveva vinto una guerra ma perse le elezioni.
Ma ben oltre le questioni di Israele qui da osservare con l’attenzione limitata che si può, c’è da vedere il processo di normalizzazione da instaurare in un popolo sempre sottomesso e umiliato come quello della Palestina. Non è del tutto vero, diversamente da come sostengono i sostenitori Pro Pal, che il popolo palestinese non dimenticherà mai e le ferite continueranno a voler essere compensate. In altri contesti storici, come quello stesso italiano, o quello germanico, dopo le sofferenze della guerra – al di là di qualche ritorsione prevedibile – c’è stata la ferma volontà di ricominciare e lasciarsi dietro il passato.
Così dovrà essere anche per Gaza. Ed a questo processo di emancipazione dalla comprensibile rabbia ci penserà il business internazionale imposto da Trump e dai paesi arabi moderati che hanno individuato l’area per realizzare un grande centro residenziale.
Se tutto questo avvenisse, se il processo avesse effettivo riscontro, dovrebbe essere la grande occasione per ogni tendenza egualitaria e comunisteggiante di aggiornare le proprie categorie.
Ma questo sicuramente non sarà.

