Diciamolo. Il paese che possiede la metà dei tesori d’arte del mondo non può guardare con invidia il museo del Louvre così come ogni altra struttura in cui si conservano grandi beni artistici. Eppure si è guardato sempre con simpatia l’impresa folle in cui un italiano tra il 21 e il 22 agosto 1911, vestito da operaio, rubò La Gioconda. Anche il cantautore Ivan Graziani ci ha lasciato una canzone che riporta la pazza impresa del furto più celebre nella storia dell’arte.
L’improbabile ladro disse che voleva riportare il quadro trafugato da Napoleone, cosa non vera. “Staccò la tavola dalla cornice, la nascose sotto il cappotto e si dileguò indisturbato. La sparizione venne scoperta soltanto il giorno dopo” (Ansa).
Il ladro ebbe l’ingenuità di cercare di vendere La Gioconda a condizioni restasse in Italia ma davanti a un furto di queste proporzioni invece venne denunciato e arrestato. Dopo tre anni, dopo un passaggio agli Uffizi, tornò al Louvre con grande acclamazione.
Ancora oggi il Louvre è custode di trentatré mila opere d’arte.
Nel furto che oggi riempie le aperture dei giornali d’Europa si racconta il fatto che i ladri si stimano in tre. Sono arrivati con la moto. Grazie a un montacarichi sono entrati nel museo con un seghetto e hanno rubato gioielli di Napoleone e della regina. Hanno valore inestimabile. L’impresa non li confonde. Subito fuggono in moto. Nemmeno uno sceneggiatore audace avrebbe potuto inventare una storia di questa linea narrativa.
Eppure è successo. Ma il Louvre non è nuovo a cadute di questo tipo. Se fosse successo in Italia ci starebbero a prendere in giro in tutto il mondo. Sarebbe interessante monitorare il sentiment nei confronti dei francesi che forse, al di là della loro autostima, non sono all’altezza dell’allure morale di cui si vantano nel mondo.

