La libertà non deve aver bisogno di eroi

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IL copyright ce l’ha Francesco Storace ma l’ha fatto suo Antonio Conte, leader del Movimento Cinque Stelle. Il motto riguarda Sigfrido Ranucci e investe nel più profondo il diritto di espressione, quindi quella che una volta si chiamava la “libertà di stampa” oggi modificata in ben altre forme di espressione del pensiero e di attestazione di testimonianze.

La linea di solidarietà – affinché sia vera, profonda, non solo flatus vocis – chiede siano ritirate tutte le querele rivolte al giornalista di Report nella sua attività della sua professione.

L’argomento tocca un punto nevralgico riguardante la vita di Ranucci assai più della bomba sotto casa. Assediarlo da procedimenti di giudiziari significa inibirne l’azione da professionista che si muove per svelare aspetti della realtà altrimenti ignoti. E sono aspetti molto esplicativi della tipologia di realtà in cui viviamo, dove esistono forme di potere invisibili, non esplicite, condizionanti coloro si trovino nella possibilità di decidere.

Sono tipologia di informazioni che nel consueto corso della esplicazione della realtà effettuale per come si evidenzia non avrebbero spazio senza una ricerca esplicita. Ma senza anche l’aiuto di qualche franco tiratore che per propri motivi decide di confidare aspetti di una realtà sottaciuta al cronista che deve trovare modi e rappresentatività delle nuove nozioni recepite dalla sua fonte. In questo lavoro attento c’è anche l’attenzione a verificare la fondatezza della fonte. Si tratta di un lavoro paziente e attento di cui nessuno intende garantire l’esistenza. Diversamente potrebbe continuare a sussistere una forma di giornalismo consistente esclusivamente nella esposizione degli accadimenti secondo il convincimento di chi li porta a termine o di coloro che legittimamente ci si oppongono. E così darebbe la convinzione di trovarsi in un mondo libero.

Ma così non è. Non è libero se non c’è la possibilità di dica e si esponga secondo quanto alcune volontà si vuole non venga fatto.

La manifestazione a piazza Santi Apostoli organizzata meritoriamente dal Movimento Cinque Stelle ha voluto ribadire questa grande verità ma centrarla solo sul personaggio vittima ed eroe Sigfrido Ranucci significa ricadere nell’errore. Si fa un eroe, si esalta in vita – e va bene così. Ma accanto a lui dovrebbero esser esaltati in tanti che silenziosamente e nell’anonimato pieno si sforzano di perseguire questo obiettivo: dire laddove si vuole silenziare. E se non si riesce a silenziare costoro si fa con l’intimorimento legale della querela.

Coloro che gestiscono un potere visibile non hanno bisogno di mettere bombe. Bombardano il provero cronista di querela per non farlo dormire la notte e rovinarlo dagli avvocati nella richiesta di sostegno legale.

Oggi più che mai c’è la necessità della revisione di procedure per le querele di diffamazione a mezzo stampa e di richiesta danni, quando invece si preferisce il percorso amministrativo per colpire i beni del giornalista o del suo editore. Debbono cambiare le procedure e sveltirle perché molte di queste pratiche se ne svelano la nullità anche a prima lettura dell’articolo. Un modo per non mandare avanti lo stato di sospensione del giornalista, da una parte, e dall’altra imporre una sanzione quando la denuncia appare vuota. Esiste il reato: ostacolo alla procedura amministrativa della giustizia.

Ci vuole poco per approvare questa riforma. Altrettanto meno per dimostrare di lavorare per la libertà di informare, notiziare, discutere e modificare la realtà per quello che è dato di sapere di essa.

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