Come si deve parlare dell’Italia fuori d’Italia? Il dilemma sullo stilema verbale da osservare per discutere fatti di interesse nazionale fuori dal proprio paese potrebbe essere il titolo dell’ultimo diverbio delle leader contendenti la scena politica. Da una parte la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dall’altra la segretaria del Partito Democratico (primo partito di opposizione).
La questione balza all’attenzione quando Giorgia Meloni in stile comiziante dice nella replica in Camera dei Deputati che Elly Sclein “getta ombre e fango sulla qualità della nostra democrazia e l’Italia rischia di pagarlo”. Risponde Schlein sul fatto che chi rappresenta l’opposizione deve impostare la sua requisitoria come meglio crede senza bisogno di farsi guidare da chi governa.
Ma quello che ha dato più fastidio a Giorgia Meoni probabilmente è rappresentato dalla frase: “Meloni ha delegato la politica estera di questo paese a Donald Trump”-
Ma se ci si interroga sulla plausibilità dell’argomento meloniano si rimanda la questione su quale debba essere il modus ponens della polemica in sede internazionale, se i temi caldi del proprio paese debbano essere sottaciuti o almeno sfumati oppure se diventa decisivo affrancarsi da certe similarità marcando la propria differenza.
A ben guardare non si tratta di quel che si dice o dei toni, piuttosto che delle aggettivazioni da utilizzare, nella polemica. Scegliere piuttosto gli argomenti e le questioni decisive da affrontare. Se la questione è l’integrità nazionale, piuttosto l’immagine di sé stessi come individualità e come sistema di appartenenza. Oppure se a sfumare ogni volta debba essere la propria soggettività e quella degli attori che intervengono, per privilegiare totalmente l’oggetto dei propri ragionamenti davanti ai quali debba sfumare ogni senso di opportunità verbale per concentrare univocamente sulla soluzione.
Il problema allora è la contrapposizione in scena ogni volta nella rappresentazione della democrazia. Non si sceglie il problema e la necessità di risolverlo quanto di distruggere l’immagine di chi è deputato a farlo. Può succedere, quindi, che in degenerazione di questa iconoclastia si distrugga anche la persona in carne e ossa. Di qui la barbarie su cui tanto si spendono poi i distinguo e le esecrazioni.
Il problema però deriva dal fatto che si è abbandonato il gioco sulla palla per preferire giocare sull’avversario. Un sistema di gestione del game inevitabilmente derivante a risultati facili ad uscire dal controllo. E quando questo avviene è sempre troppo tardi per tornare indietro. Anche se il registro rimane sulle parole, l’esser scagliate l’uno contro gli altri, significa lanciare pietre e non nobilita da uno stato primitivo della dialettica democratica. Restare sul punto. Discutere sul problema senza mai derivare al soggetto decidente dovrebbe essere il mos majorum dal quale non derogare mai.

