È nato il Federalismo Pragmatico

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Strette tra tre superpotenze le nazioni d’Europa non hanno molta scelta che perdere la loro entità nominale per fondarne un’altra che le contempli e ne rafforzi in termini di capacità rappresentativa nel mondo.

Questa necessità è talmente forte che non si può non creare. E visto che non si può non creare finora non si è creata. Il perché lo sappiamo tutti. Ciascuno non ci sta a perdere quella porzione di sovranità dettata dalla sua storia, dal suo popolo, dalle tradizioni e dall’inviolabilità del territorio.

E allora questa fusione tra stati deve avere un carattere pragmatico. Cosa significa è facile a dirlo ma complesso a praticarlo. Una strada a portata di mano nell’immediato si vede direttamente col superamento del voto all’unanimità.

SI tratta di quell’elemento di garanzia utile a entrare da parte di paesi meno popolosi e organizzati. Le decisioni dei forti non avrebbero sovrastato le decisioni dei paesi più piccoli. Era un elemento di garanzia.

Ma la garanzia più forte che può darsi oggi è avere un organismo con un senso e una capacità di decidere. E per decidere servono gli obiettivi chiari e distinti. Ci si divide su una realizzazione ben chiara non sull’appartenenza ideologica né territoriale. Sono questi due retaggi oramai da catalogare nei ricordi.

Oggi più che mai il mondo ha bisogno di decisioni e noi di muoversi in base alle decisioni prese. Essere in una condizione di continua vacatio è più dannoso che utile alla chimera di possedere un vago senso di autonomia e indipendenza.

Dobbiamo capire tutti quanto l’Europa sia sotto attacco e quanta fatica si faccia a rispondere. Tanto che non si risponde. Si ratificano decisione prese da altri. Ed è per questo che zio Mario Draghi ha tirato fuori dal cappello la formuletta di “federalismo pragmatico”. Una definizione incapace di dire qualcosa. Draghi ne ha parlato ieri ad Oviedo, al Teatro Campoamor. IN quella sede è stato insignito del Premio Princesa de Asturias per la Cooperazione Internazionale.

Difesa, sicurezza energetica e tecnologie di frontiera in scala continentale sono i campi per cui ciascuno non può farcela da solo in Europa. Ma “la confederazione europea che semplicemente non riesce a far fronte a tali esigenze. Questo lascia responsabilità a livello nazionale che non possono più essere gestite efficacemente. E anche se volessimo trasferire più poteri all’Europa, questo modello non ci offre la legittimità democratica per farlo”.

E ritorando su temi già affrontati dall’ex presidente della BCE “il futuro dell’Europa deve essere un percorso verso il federalismo”.

Ma non sussistono quelle condizioni per arrivare a una decisione di questo tipo. E allora si deve arrivare a un “federalismo pragmatico”. Questo significa che su temi specifici si debba agire in modo diverso dalle solite ritualità di rappresentativa.

Creare così ‘coalizioni di volenterosi’ – tanto per utilizzare una dizione che pare abbia avuto fortuna. Alcuni paesi, quelli che lo vogliono, ne dovranno essere il motore. Non si può pretendere che ogni paese si muova allo stesso ritmo.

Questo significa “ paesi con settori tecnologici forti che concordano su un regime comune che consenta alle loro imprese di crescere rapidamente. Nazioni con industrie della difesa avanzate che uniscono ricerca e sviluppo e finanziano appalti congiunti “.

Si tratta di un modo per stare al passo con le grandi tecnologie delle potenze globali e così rilanciare la democrazia dell’Europa.

Coloro che veramente vorranno farlo potranno unirsi alla competizione per l’innovazione oramai riguardante l’intero asse mondiale, lasciando nelle retrovie consapevoli i paesi recalcitranti. Questi ultimi però non sarebbero un peso per chi vuole crescere e andare avanti. Così tradotto in termini mondani il proposito di Draghi.

Pare che l’ex banchiere abbia letto il filosofo. Con l’espressione Antropologia Pragmatica infatti Immanuel Kant consegna a ciascun uomo la complessità oggi riconosciuta nelle diverse componenti facenti parte della macrostruttura Europa. Come per l’Unione Europea è l’uomo sul quale Kant indaga il senso della sua libertà e cosa possa veramente fare per il suo bene. In entrambe i casi si delineano quali sono le possibilità di muoversi nel senso di una vera autonomia dal contesto. Si analizzano le manifestazioni concrete. Ma si cerca di guardare a come possa essere l’oggetto studiato più felice. Il tutto guardando all’estrema concretezza, evitando i riferimenti a principi e ed elementi concettuali snaturanti. Pensare quindi a una forma di autogoverno in grado di agire nel suo contesto sociale con piena consapevolezza e autonomia. Canoni di libertà, veramente intesa nel suo contesto, debbono diventare le concrete categorie del suo agire.

L’Unione federale di Draghi è come la persona in Kant. Si uniscono i momenti di forza per dispiegarsi nell’attualità.

Peccato che probabilmente il banchiere non sappia nemmeno chi era Kant. Non ha un conto in nessun istituto di credito.

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