E se il liberismo e il liberalismo trovasse una chance?

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Quella che era stata catalogata come una meteora argentina vince invece le elezioni di metà mandato. È Javier Milei e il suo partito Libertà Avanza (il famoso “ afuera “, ricordate? Significava fuori, fuori dagli schematismi mondiali, fuori dalle influenze delle grandi multinazionali e delle superpotenze, fuori da ogni logica precostituita) che ottiene un riconoscimento dal suo popolo, inaspettato da quasi tutti gli esperti di geopolitica.

Ha vinto invece col 40, 84% e conquista terreno nella provincia di Buenos Aires. Proprio dove i peronisti progressisti del paese si riconoscevano come zoccolo duro segnando il solito avamposto tra grande città e il resto del paese.

“Oggi è una giornata storica” – ha detto Milei. E c’è da credere che probabilmente non lo credeva neanche lui di una conferma, anche a breve tempo. Le avventure autonomiste hanno sempre il fiato corto. Interviene sempre qualche fattore atto a ridimensionare quei primi clamori. Così non è stato per Milei. Anzi, sempre gli osservatori dicono ci sia stata una ripresa negli ultimi giorni. Bisogna sempre ricordare l’affluenza bassa tipica oramai delle democrazie: 67,85% degli aventi diritto. Eppure in Argentina la democrazia è una conquista ottenuta dopo lotte da appena ventidue anni!

Il suo partito ora ha 101 deputati invece di 37 e 20 senatori invece di sei. Sicuramente Trump rivendicherà parte delle ragioni di questo successo essendo intervenuto in soccorso di Milei che invece inizialmente appariva malconcio. Con quaranta miliardi in sostegno parecchie aspettative hanno continuato ad essere accese.

Tutto bello e tutto giusto quando ci si congratula con un vincitore. Le conseguenze inaspettate per noi consistono invece in un revival del pensiero liberale nostrano, a torto o a ragione, che trova ragione delle sue ragioni attraverso questa vittoria. Il partito neonato e di imponderabile dimensione di Luigi Marattin che si congratula vivamente con il liberale Milei, quasi a rivendicare una parentela precedentemente indesiderata.

C’è tutto un mondo, come la Fondazione Einaudi ma anche a un fiorire di organizzazioni politico culturali che vedono nel liberalismo una nuova chance o un’occasione per un revival precedentemente impensabile nel nostro contesto e nella nostra rete di rapporti internazionali.

E invece così pare. La decadenza e caduta di velleità comunarde, con la pallidezza del riformismo tradotto in mantenimento dello status quo, l’improbabilità di una ricaduta militarista e la fine della conventio ad excludendum, ha postulato la fame di un pensiero nuovo ma credibile, certificato, marchiato da un successo e da una tradizione filologica più che centenaria.

Ed eccoti servito il liberalismo. Sappiamo che si può declinare nel senso di liberismo dove si accentua la capacità del mondo reale di determinarsi al di fuori dello Stato legislatore attento solo a sorvegliare in termini di polizia interna e di difesa dei propri confini. Ma anche in senso di liberalismo che invece afferma un valore, quello della libertà, più riferito ai comportamenti, all’etica e alle scelte estetiche. Ma poi sussiste il liberare che continua a ripetere meno Stato, meno controlli, mani libere, coraggio nell’intraprendere e fare.

Ma sono questi valori che emergono sempre e solo in relazione a un negativo considerato nel potere coercitivo dello Stato o di chi ne fa le funzioni. La difficoltà di definire il senso della libertà in termini positivi e non come negazione di qualcos’altro è stato un dilemma affrontato dai grandi come Spinoza e Kant. Ma difficilmente Milei o Marattin potranno aiutarci a risolvere questo impasse ideologico.    

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