La giustizia è una ma chi la giudica sono molti

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Si avvia l’ultimo passaggio parlamentare alla cosiddetta riforma del funzionamento della magistratura che porterà alla separazione delle carriere. Da una parte gli accusatori, dall’altra i giudici. La questione sarà sicuramente oggetto di referendum dopo l’approvazione parlamentare per cui il dibattito nuovamente tornerà nella discussione di tutti, ma con la differenza – rispetto a trenta anni fa quando fu per la prima volta formulata l’idea di riforma – che oggi sono molti gli italiani ad avere le idee più chiare. Ma non perché c’è stato un lavoro di informazione capillare o perché il dibattito politico abbia obbligato gli astanti a prendere una loro posizione. Bensì perché sono in molti ad esser entrati nelle traversie del funzionamento amministrativo della giustizia italiana e aver saggiato il peso incessante della durata dei processi. Ma tutto ciò non è detto inerisca il fatto che esista una unica magistratura che comprende la sfera inquirente e quella giudicante. Quindi guai e nefasti sono da ascrivere sempre a cause più complesse e di sistema.

Il sistema adesso congeniato consentirà alla parte accusatoria di avere una propria sede specifica e di lavorare con un proprio funzionamento e essere inserita all’interno di un organo di gerarchia non facente più parte del Consiglio Superiore di Magistratura.

I giudici che lavoreranno sullo stato di accusa di un incriminato avranno una loro sede e una loro specifica gerarchia, non dovranno vivere la soggezione dei colleghi che giudicano. E quando si prende l’istituto del giudizio come propria sacra professione lo si fa nei confronti un po’ di tutto e di tutti, anche dei colleghi. Ebbene, non saranno più colleghi. Non potranno intrecciarsi le carriere. Ciascuno potrà sviluppare un profilo professione che ritiene proprio.

Ma l’obiezione che arriva dalla parte difensiva e avversa a questo progetto di modifica evidenzia che in effetti i cambi di casacca da sfera inquirente a ambito giudicante in realtà sono assai rari. E non serve fare una riforma costituzionale per arrivare a tanto. Se così è ed è così – si potrebbe rispondere – non si capisce neanche il motivo di tanta difesa.

Il motivo secondo i magistrati che chiameremo per facilità tradizionalisti è quello per cui anche un pubblico ministero acquisisce una cultura giuridica sempre più ampia e potrebbe succedere che nei panni di pubblico ministero proponga di sollevare l’accusato. Ma anche questa eventualità avviene in un ambito assai ristretto di casi. Non si capisce bene come possa fare motivazione di ostracismo alla riforma.

La realtà effettuale in sede di giudizio consiste nel fatto che – secondo il mondo degli avvocati – la parte giudicante insieme ai pubblici accusatori, da una parte, e quella dei legali rappresentanti dell’accusato, dall’altra, si trovano in un scontro impari. Pubblici ministeri e giudici sono tra loro colleghi e forse hanno anche pubbliche relazioni comuni. L’avvocato è un estraneo. Almeno sul comportamento e ambientalmente si deve riprodurre un distacco tra le figure, così come avviene in molti altri paesi.

Ma così – l’obiezione – si vuole semplicemente indebolire il corpo della magistratura e renderlo almeno in parte sotto controllo del governo in carica.

La questione in sé sfugge da un vero criterio di verificabilità. Vero è però che se c’è minoranza chi passa da una toga all’altra (Pubblico ministero e giudice ordinario o viceversa) così come c’è minoranza in quella figura de il pubblico ministero che si comporta come un giudice e non come un accusatore tout court, si approva una legge per evitare una minoranza che si pone come deviante a un sistema impostato su ruoli e figure ben scandite.

Ma staccando da tutto questo e guardando il panorama del livello di approvazione e di una polemica destinata a durare, si ritrova, come sempre, la fatica delle riforme nel nostro paese e la decadenza della figura della magistratura agli occhi dell’italiano medio che aveva puntato, anche pilatescamente, sulla loro capacità di sbrogliare le più gravi questioni irriformabili nel nostro paese: le organizzazione mafiose e la corruzione.

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