Ponte sullo Stretto bocciato. È la Corte dei Conti a dire che l’opera non s’ha da fare, né domani né mai. Quasi simultanea la reazione del governo prova a sfoderare il solito pezzo di repertorio contro lo strapotere della magistratura e la sua capacità di regolare le vicende fondamentali nella nostra Storia.
Ma qui sono i magistrati contabili, non la giurisprudenza ordinaria che blocca qualche abuso. A seguito della Camera di Consiglio si è deciso di non concedere il visto di legittimità. Si ferma così anche la registrazione della Delibera Cipess di agosto, proprio la delibera che aveva approvato il progetto definitivo dell’opera.
Ma la prova è principalmente per il governo della repubblica perché dovrà dimostrare di avere gli attributi mostrando non poco coraggio ad andare avanti comunque anche dopo il parere negativo della Corte dei Conti.
Infatti, tecnicamente, anche se c’è il parere negativo della Corte dei Conti, l’esecutivo può decidere comunque di procedere per il percorso che si è scelto. Certo, a suo rischio e pericolo qualora ci fossero delle ripercussioni in seguito.
E quando il dossier diventa bollente, come sana vecchia pratica di uffici insegna, si passa la palla all’ufficio equipollente nelle decisioni. Si è inviata tutta la documentazione alla Sezione centrale.
Ma i punti da chiarire sono ancora tanti. E il dubbio epistemico rimane. Sul piano delle cose reali che coincidono con gli elementi nozionali su cui si può ragionare sono due. Le obiezioni sussistono come base oppositiva per la regolarità di un’opera pubblica di quella portata – e allora chi l’ha istruita è un pericolo pubblico tale da doversi dimettere immediatamente con interdizione dai pubblici uffici. Oppure quanto obiettato è pretestuoso, ozioso, inutilmente dubitativo, e conferma l’assenza totale di un’ufficialità tecnica nelle sedi decisionali del nostro paese.
Sicuramente ci sono diversi punti non chiariti. Ombre sulle quali non si è fatta luce. Non si sono chiariti i dubbi relativi alla prima richiesta di chiarimenti e integrazioni inviati dalla Corte a Palazzo Chigi il 24 settembre.
L’immagine che se ne ricava quindi è di una realtà, quella italiana, dove di progetti e di chiacchiere se ne fanno, tante ma di realizzazioni poche e spesso assai poco desiderabili.
In ogni caso è un danno.

