Sono passati cinquanta anni da quel 2 novembre in cui Pier Paolo Pasolini fu assassinato allo Scalo di Ostia. Si segue come una liturgia della memoria per la sua scomparsa e la rivisitazione dei luoghi presenti della testimonianza di poeta ma soprattutto intellettuale libero.
Come se non si fosse ancora esaurita la definizione della sua statura si vuole ancora oggi celebrarlo e ricordare con un senso di colpa malcelato. Perché in vita non ebbe il riconoscimento che avrebbe meritato anche se non ebbe mai problemi di pubblicazione e riusciva a spaziare tra letteratura, giornalismo, cinema e interventi televisivi.
Come lui oggi manca la figura dell’intellettuale libero, del testimone del suo tempo, quello che quando interviene non sai mai da che parte farà uscire la palla. E sicuramente lascerà degli scontenti. Probabilmente coloro che non si aspettavano una requisitoria dal poeta metropolitano.
Oggi si dovrebbe riuscire a guardare la sua statura di intellettuale del suo tempo con maggiore lucidità. La sua sfiducia nei confronti della crescita tutta quantitativa e puramente tecnologica dei nostri tempi non era nuova. Prima di lui la Scuola di Francoforte si era dedicata a queste tematiche e grandi filosofi come Herbert Marcuse avevano tratto saggi e riflessioni maggiormente pregnanti di quelle lasciate dal poeta friulano. Eppure viene celebrato puntualmente con queste asserzioni oramai proprio del senso comune. La ripugnanza sul soffocamento delle spontaneità istintive e il rifiuto di far parte di un dover essere stabilito dai dettami di una civiltà sempre più legata alla prestazione e assai meno alla liberazione.
Nel cinema ha lasciato momenti di riflessione intensa, ma assolutamente conseguenti ai suoi romanzi sui quali si concentra l’attenzione speciale. Qui si osa dire che molte opere cinematografiche ce le poteva risparmiare e non sarebbero mancate a nessuno. Ma accanto a queste ci sono perle in forma di opera cinematografica come Uccellacci Uccellini.
Le poesie de Le Ceneri di Gramsci hanno lasciato il segno indelebile nella memoria del nostro paese e come disse Alberto Moravia al suo capezzale: “poeti di questa statura non ne nascono. Ce ne sono uno ogni cento anni”.
Eppure Pasolini passa come un autore maledetto che dovette soffrire le costrizioni di uno stato capitalista e borghese però garante in tutto e per tutto di ogni parto della sua mente.
Tanto che oggi diviene un esercizio da salotto inutile quello di capire cosa è vivo e cosa è morto di Pasolini a cinquanta anni dalla sua scomparsa. Incredibile come di un autore come lui debba essere compreso tutto e tutto possa essere tranquillamente superato perché superato è il piano di questa polemica. Le profezie sull’irriducibilità del proletariato davanti a una borghesia sempre più penetrante nei comportamenti e negli stili, si sono evidenziate come sbagliate.
I modelli superficialmente affabulatori hanno superato ogni stato di natura primordiale e hanno costituito un rimescolamento di comportamenti e stilemi aventi dato vita poi a tendenze assai più modaiole anche nella cultura alta.
Pasolini ha perso. Pasolini aveva sbagliato tutto. Ma proprio per questo errare nella ricerca incessante di verità nelle cose sempre spurie e allotrie non possiamo esimerci di leggerlo ancora e ogni tanto di riscoprirlo.
E il suo destino si compie anche nel compleanno della sua dipartita.

