Nessuno avrebbe mai potuto suggerire di preparare un necrologio per dare un saluto a Michel Barbet, ex sindaco di Guidonia. Persona piena e in pieno possesso delle sue azioni se ne va per colpa di un incidente mentre era in moto contro un’auto.
Il ricordo di lui può trasformarsi comunque in un’anti-storia per una persona a tutto tondo che “con l’ingresso in politica ha voluto dare solamente il suo impegno per il bene comune”. Parole semplici, lineari, sulle quale poi è impossibile non derogare per prendersi un piccolo spazio per sé stessi in termini di merito, di gloria, ma per l’esorbitare delle competenze che nei panni di sindaco sicuramente diventano una tentazione più grande.
Il suo messaggio nel lavoro di guidare le sorti dell’amministrazione pubblica di Guidonia in quegli anni in ginocchio per l’ondata di arresti e per le condizioni delle casse, se non si poteva spendere un soldo non si spendeva. E non valeva l’argomentazione per cui la cosa e la casa pubblica deve comunque andare avanti. “Se non ci sono risorse, se ci sono troppi debiti non si spende”. Semplice, lineare. Anche troppo.
Nondimeno Barbet dovette vedersela con più di una crisi. Dovette procedere a un rimpasto in giunta fino ad accogliere a sé l’ex minoranza in opposizione del Partito Democratico.
Ma la vicenda di questa persona onesta, saggia e solidale non può e non deve racchiudersi nella descrizione di quanto ha lasciato di suo nella storia di Guidonia. Il non aver lasciato nulla, anche nuovi debiti dalla sua amministrazione procurati, è già un grande risultato.
Il suo esempio piuttosto potrebbe essere di ispirazione per un romanzo esistenzialista dove una persona qualunque, di natura mite, ma con l’orgoglio di appartenenza – anche in una città e in un paese non suo – rompe gli indugi entra in quel grande movimento che fu detto (più esattamente per autodefinizione) degli onesti. Solo che lui onesto lo era veramente e nel profondo. Come un ragazzo, preso dall’enfasi della nuotata di Beppe Grillo sullo Stretto di Messina, fatta a dimostrazione che due poli opposti potevano essere condivisi senza bisogno del “ponte”: ugualmente lui si tuffò in politica e da questa in quei tempi fu selezionato.
Il suo l’esempio in vitro di come le categorie del praticare sul sentimento commendevole della semplice giustizia presente nelle cose fosse bastevole per portare avanti responsabilità pubbliche richiedenti molto spesso delle forzature, una spinta personale più forte – chiaramente sempre e comunque nel perseguimento degli interessi pubblici.
Ma nella teoresi della politica la sua pur breve ma intensa attività potrebbe essere dimostrata per evidenziare come non servano sostegni di alcun pensiero già formato e organizzato (chiamato a volte ideologia) per lavorare nella cosa pubblica. “Le cose giuste, corrette, il lavoro da fare è auto evidente. Non è di destra o di sinistra”. (E in effetti non capii mai se nel fondo era di sinistra o di destra).
Barbet si astenne sempre da tutto questo e il suo esempio potrebbe essere studiato come dimostrazione della possibilità di adottare criteri presenti tutti strettamente nei caratteri della legalità. (Ma non per sostenere, anche solo per un attimo, la possibilità di esorbitare le leggi bensì perché nell’etica del politico pare sia impraticabile una condotta senza spinte in avanti a certi processi).
Non perse mai il senso della leggerezza e dell’ironia, nonostante la fermezza di un uomo di altri tempi. E quando incontrava il cronista, pur dopo aver perso da tempo i contatti, era lui per primo a salutare e chiedere: “come stai?” Come fosse un vecchio amico.
E come un amico trovato ma che resta nella cultura della città, da Guidonia Montecelio deve essere ricordato.