C’è un mondo che celebra costantemente sé stesso e chiede anche delle risorse per perpetrarne l’ispirazione e la produzione. È il cinema che per qualche ragione al mondo ritiene di dover essere omaggiato con risorse per azzerare il rischio di impresa e garantire il rientro dalle spese di maestranze, organizzazione e allestimento tecnico.
Tutte cose molto giuste ma non si vede perché altre forme di espressione artistica come la pittura degli artisti viventi non ne debbano godere per l’inevitabile attesa del sostentamento solo dopo la secolarizzazione delle loro opere.
Non si capisce anche quale sia il premio del cinema caratteristico del sistemaitalia. Se sia il David di Donatello o il Leone d’Oro di Venezia, ai quali si è maldestramente aggiunto anche la veltroniana kermesse romana all’auditorium. Si tratta comunque di occasioni in cui il cinema viene celebrato, e mai processato. In tal senso una grande assimilazione alla fase della chiesa cattolica in cui la fede viene celebrato in grandi eventi, come questo del Conclave, ma non si vive la cristianità giorno per giorno, tantomeno la domenica in chiesa.
Ed inevitabilmente i riferimenti al Conclave affiorano durante la celebrazione del David di Donatello come alla sua presentazione al Quirinale dal presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Più compassato, attualista, come storicista, il Presidente si riferisce aa ‘Roma Città aperta’ quando tocca il problema dell’identità che si afferma attraverso un’opera artistica, nello specifico nel cinema. Ne parla come: “un comparto che ha un peso importante, e crescente, nell’economia nazionale. Anche per questo, mentre apprezziamo il fiorire di nuove opere – il Premio David nasce proprio per questo, per incoraggiare il dinamismo della produzione italiana – dobbiamo anche riflettere sui problemi aperti, individuare i punti critici del sistema e trovare soluzioni che possano aiutare il cinema a superare le proprie difficoltà”.