L’Istat dice: “A marzo 2025 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale aumenti dello 0,1% rispetto a febbraio. Nella media del primo trimestre il livello della produzione aumenta dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile presenta aumenti congiunturali nei comparti dei beni strumentali (+2,2%) e dei beni intermedi (+1,1%); variazioni negative registrano invece, i beni di consumo (-1,3%) e l’energia (-1,9%)”.
Tutto questo non determina la crescita dei modelli di vita di chi lavora. Ma nemmeno fa sperare in un domani migliore. Secondo l’osservatorio di PartiteIva.it : “l’Italia registra ancora stipendi troppo bassi, rispetto agli altri paesi europei e facendo un confronto con il periodo pre-pandemico, ovvero con il 2019. Nonostante l’incremento in positivo dell’occupazione e la crescita economica che ha coinvolto il nostro paese negli ultimi anni, registriamo un -6,9% per ciò che riguarda i salari. Si verifica quindi un record al ribasso in Europa, dove in altri paesi gli stipendi hanno subito variazioni più contenute. A fornire questo quadro generale sono gli ultimi dati OCSE1 sulle prospettive di occupazione per il nostro paese, che rilevano una panoramica allarmante sulle paghe”.
Solo che la disponibilità a spendere non può essere un punto di vista o essere calcolata secondo parametri diversi tanto dal dare nozione di sé assai diversa.
Solo il ribadire che la società è complessa e articolata non aiuta ad estrapolare numeri che siano di estrema sintesi per condensare il reale rappresentato dal nostro vissuto.
IL sentiment generale risponde all’impressione di una grande crisi e di incertezza del futuro. E quando riguarda il reale più concreto l’impressione diventa realtà. L’unica effettivamente possibile al di là dei numeri.