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I notiziari non fanno che parlare della dichiarazione del presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto. Davanti all’avviso di garanzia e alla conseguente paralisi degli uffici, il presidente ancora in carica ha annunciato il proposito di dimettersi per poi ricandidarsi. La mossa, a suo avviso, consentirebbe di sbloccare l’impasse nella quale sono attanagliati i dirigenti restii a firmare alcunché.

Al di là della sensazionalità della dichiarazione oltre che del proposito però non si capisce il nesso causale. Se gli avvisi di garanzia ricevuti dal Presidente sono la causa determinante della paralisi questa sussisterà anche qualora lui sia rieletto, probabilmente già a fine settembre.

Qualora questo proposito andasse a risultato però darebbe alle cronache come alle riflessioni politicistiche un argomento in più. Segnerebbe infatti un vulnus evidente nel nostro funzionamento democratico.

Si potrebbe riassumere in questo modo: può un qualsiasi organismo giudiziario interrompere l’azione del rappresentante di interessi pubblici se sono manifesti i suoi consensi e se il giudizio democratico lo abbia assolto incondizionatamente?

Se i cittadini gli dicono di continuare nella sua azione come può una qualsiasi azione inibente dell’organo giudiziario fermare la sua attività. Una espressione chiara tesa a dire che il parere generalmente condiviso dalla popolazione è il più importante e assoluto giudizio che supera ogni ordinamento di magistratura.

Una sorta di trionfo della democrazia per antonomasia. Un modo di trasferire i processi dalle aule dei tribunali alla piazza che potrebbe valutare volta per volta la colpevolezza dell’inquisito e consegnare alla gogna oppure assolvere.

Se il proposito di Occhiuto fosse portato a termini si creerebbe così questo importante precedente soggetto ad essere ripetuto e imitato da molti. Qualsiasi siano le conseguenze elettorali del processo le aule della magistratura rischierebbero di essere sostituite dalla pletora della piazza che assolve o condanna.

A tutti bisogna sempre ricordare il sacro apologo per cui la piazza chiese a gran voce la crocefissione di Gesù Cristo. Che le dittature più atroci nel Novecento nacquero in conseguenza di regolari elezioni tali da legittimare il dittatore. Questo per dire come il giudizio di simpatia o antipatia espresso epidermicamente e d’istinto dalla gente sia stato troppo spesso fuorviante.

Ma d’altra parte ci sentiamo più rassicurati dalla capacità di giudizio inquirente di chi non sa, non può sapere, non immagina, le difficoltà, i vincoli nei quali si muove un amministratore pubblico. Se non adottasse qualche forzatura ogni tanto si creerebbe la paralisi ovunque. Ma questo ce lo hanno regalato i legislatori del passato recente e remoto. Bisognerebbe processare loro. E prendere come occasione per una revisione sostanziale, radicale, pragmatica, di tutto il funzionamento della macchina amministrativa di Stato.

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