Dai taxi il segno della crisi italiana. È Wall Street Journal stavolta a leggere in vitro la nostra crisi. Ma anche a vederla attraverso gli occhi dell’autoevidenza. E il segno chiaro, palese, inappellabile arriva appena un turista si reca nel nostro paese. Caos per i taxi nelle grandi città . Stabilimenti balneari la cui conduzione è monopolio dello stesso circuito familistico da decenni. E poi ci sono altri dati come l’istruzione insufficiente per i giovani. Basso livello di acquisizione del lavoro da parte delle donne e infine scarsa performance delle nostre start up, scarsa appetibilità del nostro paese per le imprese interessate a delocalizzare nel mondo.
Ed è lo sguardo sconfortante di un paese, il nostro, che non riuscirà mai ad alzare la testa se non impone una svolta radicale del sistema.
Non c’è giudizio politico in tutto questo. Sono i segnali rintracciati dal The Wall Street Journal. E poi snocciola i dati.
La Banca Mondiale parla dell’economia italiana come piccola. Minuscola. Incapace oramai alla crescita. E questi sono i numeri. La crescita è dell’1,5% rispetto al 2007 – anno per tutti di riferimento a causa della prima grande crisi finanziaria globale. Ebbene, da quel tratto di evidenziazione storica l’economia tedesca è cresciuta del 17%, quella francese del 13% e quella degli Stati Uniti del 28%.
Questo anno e il prossimo, dice l’agenzia nazionale di statistica, l’economia italiana dovrebbe crescere dello 0,7%. Voliamo proprio basso.
Ma al di là dei numeri che urlano la verità per quello che è, il giornale americano rileva la nostra drammatica condizione da tre grandi evidenziazioni. La crisi dei taxi nelle grandi città . (Denota l’incapacità di introdurre modalità di vero libero mercato). La fissità delle concessioni per i balneari. (Stessa identica condizione di un’economica non libera che invece rimane sotto scacco di alcuni capi bastone).
Ed è sul pianeta occupazione che arrivano i dolori con solo il 55% delle donne in età lavorativa occupate, mentre in Germania sono al’80% e in Francia al 71%. Ma poi si arriva al pianeta-giovani. Quelli che vanno dai quindici ai trentaquattro anni che non hanno lavoro, non studiano sono al 21%. La Francia attesta il 13%, la Germania il 10%.
IL piatto servito al nostro paese risulta condito con l’evidenziazione di un dato sull’evasione fiscale cronica e con i ben noti squilibri tra il nord e il sud. Anche sulle start up non possiamo che essere il fanalino di coda nel resto d’Europa. L’Italia attrae poco capitale di rischio e sta molto indietro sul valore delle università .
Ma ad aiutare i cronisti americani nel facile lavoro di fare un bel quadretto del nostro paese intervengono docenti italiani interpellati ad hoc. L’analisi scientifica dei mezzi e delle condizioni generali riusciamo a farla, l’autolesionismo, anche. E anche questo ultimo dovrebbe essere analizzato scientificamente.