
La domanda a tratti retorica del “dove abita?” costituisce un refrain del repertorio dialettico nel quale si pongono dei dubbi sull’esistenza reale di concetti o cose di cui si parla in astratto. Il momento in cui si deve fare il punto sulla loro concrezione reale la domanda retorico-simbolica spesso evocata è “dove abita?” Serve a collocare in una concrezione sensibile la reale essenza delle cose di cui si va trattando.
La domanda realistica sulla effettiva residenza del Pontefice insegue, per altro verso, lo stesso refrain. Sapere l’alloggio prescelto indica la prospettiva della chiave di volta su come intende muoversi questo grande artefice della linea di un movimento reale riguardante un miliardo duecento milioni di persone che sono i cristiani sulla Terra.
Se il Papa dovesse scegliere per comodità della Curia le residenze abituali vaticane allora significherebbe che seguirebbe il solco della tradizione delle gerarchie ecclesiastiche. Se, come fece Bergoglio, volesse orgogliosamente eleggere come residenza Casa Santa Marta, dove gli venne riservato un intero piano, allora significherebbe che con le stesse gerarchie vuole tenere una distanza salutare. Significherebbe un tono più accelerato verso l’innovazione.
Ma la facile risposta che ci si troverebbe a recepire è che, in fin dei conti, al di là di alcune boutade da trascrivere sui giornali di innovazioni profonde Bergoglio ne ha avute poche. E allora la casa prescelta sta a indicare più una collocazione sentimentale ed esistenziale del nuovo attore nella scena moderna. Ed anche questo però è un dato di conoscenza non indifferente.
Al di là dei risultati che poi si raggiungeranno nell’azione concreta conoscere i propositi di un soggetto attante nella scena mondiale è sempre utile.