Stato intermedio di un regime carcerario che va rinnovato per quel senso di deprivazione primaria dalle relazioni sociali e tanto più dalla loro possibilità. Intermedio perché è un obiettivo per chi si consuma in uno stato detentivo in carcere. Consiste però in un’interdizione, tale e quale a quella nel sistema carcerario, per chi ci è dentro e guarda allo stato di libertà come dimensione visibile ma non praticabile.
Ilaria Salis dopo mesi di controversie legali con la magistratura ungherese li ha finalmente ottenuti. E di questo deve dire grazie, quasi sicuramente, alla trovata condizione di candidata al Parlamento Europeo.
Giovanni Toti ci è già. Ed è una condizione per lui eccessiva dati i capi di imputazione e l’impossibilità di reiterare il reato, dato lo stato di indagato per acquisizione illecita di risorse economiche e di compravendita in atti di ufficio – un errore in tal senso segnerebbe definitivamente la sentenza – (Le altre motivazioni come occultamento di prove non sussistono perché in tanti mesi la magistratura ha raccolto tutto il possibile, il pericolo di fuga pure è da escludere tale è la ricerca di risolvere in sede di giudizio il problema).
Lo stato detentivo dentro la propria casa dimostra l’incapacità di arrivare al risultato di recupero da parte dei coscritti. E anche l’impossibilità. Le carceri dovrebbero essere di più. Troppe! Una spesa in più per le borse dello Stato che deve mantenere i detenuti nei bagni di pena. E allora se ne stessero a casa loro! In caso di trasgressione dal divieto di aver contatti con l’esterno, solo in caso di trasgressione, tornerebbero allo stato iniziale.
Quindi si dà questa condizione intermedia tra la privazione assoluta della libertà e la stessa privazione ma in stato di recupero emozionale con il proprio sistema. La privazione della libertà conosce quindi dei gradi. Anche in carcere. Esiste infatti il carcere duro per reati più gravi relativi ad associazioni di malavita.
È come se la libertà posseduta in stato di natura debba essere conquistata attraverso azioni di conferma in grado di dimostrare alla socialità la capacità di non offendere i diritti di tutti.
Si tratta di una regolamentazione data al fine di scandire un solco netto con la porzione di popolazione deviante. Come se la società avesse bisogno di isolare i malati affetti da disagio sociale per confinarli in aree dove siano nelle condizioni di non nuocere il resto della società. Un trattamento similmente riservato alle persone ammalate, quindi bisognosi di cure, ai pazzi e a coloro che si sono fatti colpevoli di reati contro la società. C’è una tradizione che arriva dall’età moderna per questi simili logiche distributive della società sulla quale si è fatta molta letteratura. Ma l’argomento è lontano dall’essere risolto.
Perché se è dimostrato che qualsiasi persona ammalata (mentalmente o fisicamente) non trae vantaggio dall’isolamento, lo stesso può dirsi del male morale di aver offeso la società fatta di persone, attraverso il male effettuato. Si utilizzano coscientemente categorie somme per evidenziare la grossolanità delle logiche.
Il motivo sta nel fatto che categorie sostitutive non sono state pensate. Quindi davanti a catalogazioni arcane anche la cura è primordiale. Anche il sistema di pena resta imprigionato da schematismi linguistici.