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Thiago se ne va … Milan e Juve senza allenatore

“Risoluzione consensuale del contratto”. E Stefano Pioli se ne va dal Milan. Cinque anni che hanno fatto dimenticare le precedente militanza alla Lazio e all’Inter avevano costituito per l’ex allenatore del Milan una sua pelle naturale. E invece la dovrà smacchiare per ritinteggiarla non si sa bene con quali altri colori.

Ma non si sa chi siederà su una delle panchine più ambite d’Italia quale è quella del Milan. Altra panchina molto ambita, ma stavolta si va a Torino in sede Juventus, è quella lasciata con sceneggiata da Max Allegri.

E ad arrivare in soccorso della più forte per antonomasia dovrebbe essere Thiago Motta, reduce dell’impresa di aver promosso il suo Bologna in qualificazione alla Champions League ed è la prima volta nella storia del club. L’ex interista sarebbe stato perfetto per un ritorno a casa, ma con un Inter arrivata alla seconda stella e con problemi di bilancio insormontabili, è folle collezionare una fantasia di questo tipo.

E allora l’ex centrocampista dell’Inter prenderà la strada della Juventus e sarà il grande collaudo nella sfera delle grandi. Il Milan risolve questo problema dovendo scegliere tra varie opzioni. C’è Xavi dalla Spagna e proveniente dal Barcellona. C’è Mark van Bommel (Olanda) che arriva dall’Anversa. C’è il portoghese Paulo Fonseca, che aveva allenato la Romae ora allena il Lille. C’è Sergio Conceição (Portogallo) che ora allena il Porto. Ma c’è anche un disoccupato d’eccezione che si chiama Antonio Conte. Con lui il club dovrà mettersi in testa di spendere e molto. E poi di dare carta bianca.

Walzer delle panchine che evidenzia ben più delle novità prevedibili suo piano tecnico tattico. Parla della condizione finanziaria del club e della sua capacità di spendere, rilanciarsi, scommettere sul nuovo. Possibilità che l’Inter non ha più. Almeno per il momento. E la scommessa sarà questa per il futuro. Ma anche il gap tecnico.

Ma è in questa congerie in cui viene messo a sistema la costante e la variabile che si saggia il valore in sé del professionista ma soprattutto del ruolo, non sempre riconosciuto nel suo giusto grado. Anche perché il giusto grado nessuno lo sa.

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